Italia, 1972
Regia: Lucio Fulci
Attori: Tomas Milian, Florinda Bolkan, Barbara Bouchet, Irene Papas, Marc Porel, Georges Wilson, Ugo d’Alessio, Virgino Gazzolo, Franco Balducci, Andrea Aureli, Linda Sini, John Barta, Duilio Cruciani, Antonello Campodifiori, Vito Passeri
SPOLIER ALERT!
Un killer che uccide uno alla volta le sue vittime e sempre con la stessa modalità: a mani nude, strangolandoli, senza lasciare segni di violenze di alcun tipo.
Dopo aver saputo di queste efferatezze, si scatena in città una caccia all’uomo da parte della folla e dei carabinieri intervenuti nel posto per seguire da vicino questo caso. La folla e le forze della giustizia sono due figure chiave all’interno della vicenda.
Oltre a queste due entità sopracitate i personaggi che fanno da sfondo alla vicenda sono: un giornalista che si prenderà cura di fare luce sulla questione, interpretato da un Tomas Milian non al massimo della vigoria (siamo abituati a vederlo molto più deciso e risoluto, qui diciamo che è un personaggio tutto sommato molto pacato e dai modi affabili, lontanissimo ad esempio dal villain Giulio Sacchi di “Milano odia: la polizia non può sparare”); uno ”scemo del villaggio”, la “Maciara”, strega timida e introversa all’apparenza pazza e appena uscita da un sabba autunnale, interpretata da una straordinaria Florinda Bolkan; una ragazza del nord spedita qui nel profondo sud dal padre causa problemi con la droga e proprietaria di una splendida vila con depandance, impersonata da una Barbara Bouchet dalla doppia anima: eterea e angelica all’apparenza, mistica ed appassionata di magia nera nella realtà dei fatti. Patrizia, il suo nome nella pellicola, è la parte di rottura, il crack. Difatti è il personaggio trasgressivo e libertino (si nota già da come si veste e si atteggia, sin dalle prime sequenze in cui appare), in aperto contrasto con la pudicità delle persone del paesello. Ha una mentalità aperta, da grande città e ovviamente per lei, ritrovarsi qui in un posto retrogrado e dominato dall’ignoranza è devastante. I suoi comportamenti sono irrequieti, ansiogeni e dominati dal desiderio di evasione, di libertà, certamente per lei Accendura non è un buen ritiro.
A rappresentare la parte positiva c’è la figura del prete del paese; un parroco gentile nei modi e affabile, presente e molto attaccato ai suoi ragazzi, che giocano in oratorio. Il parroco ha una madre, vedova, e una sorella handicappata di nome Malvina ( è sordomuta).
I ragazzi, come nel caso di Patrizia, hanno una duplice faccia: quando sono in oratorio sembrano ossequiosi e rispettosi, al di fuori di questa confort zone, ne combinano di tutti i colori. Questo a voler rappresentare il loro desiderio di evadere da questa realtà di paese, chiusa e retrograda, in cui tutto, dal sesso al “diverso”, è considerato un tabù, e in quanto tale, foriero di negatività.
Il concetto dell’aborrare la ”novità”(Patrizia) e il “freak”(lo scemo del villaggio e la maciara) è il leitmotiv del film. I non omologati diventano i capri espiatori, gli agnellini dati in pasto alla folla, perché, come viene ribadito più volte nella pellicola, c’è da trovare un colpevole. Per placare le ire del popolino e per dare un volto all’assassino.
La massa elegge di volta in volta il proprio carnefice: all’inizio della storia è lo scemo del villaggio, poi la “maciara” (la sequenza del suo pestaggio a sangue nel cimitero con in sottofondo la musica di Ornella Vanoni è da brividi, a mio parere una delle scene più impressionanti che mi sia mai capitato di vedere). Significativa è la fine di questo personaggio: muore nell’indifferenza generale accasciandosi al suolo dopo aver lottato per risalire un dirupo. D’altronde vox populi, vox dei. La massa aveva impartito il suo requiem, decidendo “motu proprio”.
E ’questa apparente atarassia del popolo di fronte alla barbara uccisione della “maciara” che inquieta e turba: come dei consumati serial killer, non provano nemmeno un briciolo di compassione e di empatia nei suoi confronti, non preoccupandosi minimamente di riuscire a capire se effettivamente poteva essere coinvolta o meno. A loro interessava solo debellarla, difatti, quando questa viene a mancare, in paese c’è aria di festa e si crede che oramai il caso sia del tutto archiviato.
Il terzo omicidio viene perpetrato dopo che la “maciara” era sparita dalla scena: chi sarà il prossimo sospettato? Ovviamente, per chiudere il cerchio l’attenzione non poteva non ricadere che sulla femme fatale Patrizia.
La polizia la interroga ma non è lei, e allora chi?
Patrizia e il giornalista iniziano ad indagare e riescono a risalire al vero assassino: l’insospettabile, il colpo di scena che non t’aspetti: il carnefice è il prete del paesello.
Che sta progettando un’ultima uccisione: quella della sorellina sordomuta.
Milian e la Bouchet riescono a ritrovarlo e lo colgono in flagrante mentre sta cercando di gettare dal dirupo la bambina.
Ne esce una colluttazione, e Milian ha la meglio. Il sacerdote cade nel vuoto e muore: è la sua scesa agli inferi.
Difatti mentre precipita batte la testa e si vede chiaramente che era il diavolo reincarnato nel suo corpo.
Un finale davvero indimenticabile…
Lucio Fulci ha sempre diviso critica e il pubblico: amato e odiato, controverso e osannato.
C è chi lo ha definito un cialtrone, chi un pazzo squilibrato, chi il re indiscusso del gore, chi la brutta copia sbiadita di Dario Argento, chi un genio non del tutto compreso.
A mio parere, Fulci è stato un grande mestierante, un uomo di gavetta, uno dei massimi esponenti del cinema di genere non solo a livello italiano, ma con un ampio respiro internazionale sicuramente.
Difatti all’estero (In Giappone in particolare) sono pazzi per i suoi film, molti dei quali sono diventati nel corso degli anni per gli appassionati dei veri e propri cult: “l’aldilà”, “sette note in nero” e “paura nella città dei morti viventi”, solo per per citarne alcuni.
Persona poliedrica e dalle mille sfaccettature il buon Lucio: difatti è stato anche un eccellente paroliere. Basti pensare che ha scritto due evergreen come “24.000 baci” e “Il tuo bacio è come un rock”. Celentano sicuramente gli avrà pagato più di una cena.
La sua voglia di sperimentare lo ha portato negli anni a cimentarsi con vari generi: dal gore al comico, dal thriller allo spaghetti western, dai musicarelli ai post-apocalittici, dalla commedia sexy ai gialli.
Il film che andrò a recensire oggi è “Non si sevizia un paperino”, incursione nel filone dai cosiddetti ”gialli”.
Tuttavia, definirlo solo e prettamente un “giallo” mi sembra riduttivo e assolutamente fuorviante: c’è una bella commistione di generi al suo interno: dall’horror al gotico, dall’erotico fino alla spietata critica sociale, dall’esoterico condito di magia nera e riti apotropaici.
Il maestro, attinge a piene mani da Claude Chabrol ( Il tagliagole) e da Damiano Damiani (Il giorno della civetta) e partorisce un prodotto intriso di suspance e tensione, che rimane costante per tutta la pellicola. Il senso di lercio, di macabro, di mistico e di sporco si percepisce, eccome.
La storia, ispirata a fatti di cronaca realmente accaduti l’anno prima a Bitonto, si svolge nel paesello di Accendura (Puglia).
Thriller, Giallo.***½
Durata: 102′
By: Kiroshiya